Usare i videogiochi come strumento creativo in un percorso terapeutico. Un gruppo di ricercatori di Milano-Bicocca ha presentato in modo analitico come i videogiochi, dove l’interazione avviene in uno scenario immaginario, possano essere dei facilitatori di cura per traumi. Con essi infatti ci sentiamo più liberi e tendiamo ad abbassare le difese.
Questo può essere utile ad esempio per trattare diversi casi. Per citarne alcuni: le dipendenze, la prevenzione, il supporto ai neet – giovani che non lavorano né studiano – e “ritirati sociali”. E ancora: in ambito di ADHD (disturbo da deficit di attenzione iperattività), DSA (disturbi dell’apprendimento) ed autismo per favorire l’autoregolazione cognitiva.
Il contributo, dal titolo “Putting the Gaming Experience at the Center of the Therapy —The Video Game Therapy® Approach”, è stato scritto da Marcello Sarini, ricercatore di informatica del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, insieme a Francesco Bocci, psicoterapeuta Adleriano, e Ambra Ferrari, esperta di ludonarrativa, ed è stato recentemente pubblicato sulla rivista MDPI Healthcare.
L’articolo analizza come la strategia, già nota in ambito clinico, possa essere utile nella creazione di un efficace rapporto terapeuta-paziente. L’approccio presentato si fonda sul seguente concetto: i videogiochi offrono la possibilità di interagire in uno scenario immaginario, concretizzato visivamente grazie al supporto video-digitale.
In un simile scenario, il paziente può esprimere gli aspetti salienti di sé in assoluta libertà e con meno difese rispetto al ricorso esclusivo al dialogo. Ciò avviene grazie alle proprietà immersive del videogioco, che rendono l’esperienza ludica particolarmente spontanea, e grazie all’attivazione dell’esperienza di “FLOW”. In tale esperienza i due emisferi sono in equilibrio rispetto alle sfide e agli obiettivi che il gioco richiede ed interagiscono tra loro in modo equilibrato.
All’interno dell’approccio della VGT® vengono integrate varie tecniche psicologiche. Si tratta ad esempio di ascolto attivo, libere associazioni, esposizione allo stimolo, catarsi, e desensibilizzazione rispetto ad un ricordo/evento traumatico. Per la buona riuscita del percorso è di fondamentale importanza il punto sul quale porre l’attenzione. Il focus non deve essere tanto legato al contenuto o al mezzo utilizzato (in questo caso il videogioco), ma soprattutto al “come”, al “modo” in cui il terapeuta o caregiver lo propone e lo agisce in seduta.
Il gaming riattiva dinamiche “proiettive” e “difese primordiali” in un ambiente “protetto” e “regolato”. Il “fare” “giocando” nella relazione permette così al terapeuta ed al paziente gamer, alla diade terapeutica, di “immaginare” nella relazione, di far rivivere proiezioni e identificazioni, come anche vissuti emotivi, traumi passati, ricordi d’infanzia, senza rimanere incastrati in essi. Al contrario a questi viene dato un significato adattivo e creativo.
LE FASI
La ricerca descrive in modo dettagliato le diverse fasi in cui si articola il percorso terapeutico. Si spiega come le diverse fasi della psicologia individuale adleriana siano rese operative nella VGT considerando il ruolo fondamentale delle sessioni di gioco che ogni paziente ha con dei videogiochi commerciali. I videogiochi sono scelti dal terapeuta come i più adatti rispetto al contesto del paziente.
Lo studio approfondisce poi un altro aspetto. Attraverso sessioni di gioco il paziente stesso può raggiungere uno “stato di FLOW”, e questa esperienza è facilitante per affrontare i suoi traumi e le sue difficoltà.
«È attraverso questa esperienza che il terapeuta come alleato del paziente in una coppia terapeutica, può utilizzare i diversi approcci e tecniche che la psicoterapia mette a disposizione, per risolvere le problematiche del paziente», sottolinea Marcello Sarini.
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