“Il tema del cambiamento climatico e della sostenibilità ambientale non è ancora considerato e diffuso come dovrebbe in quanti lavorano nei servizi sanitari e sociali e nell’impresa. Non nella vita personale, ma proprio nell’ambito professionale”. Il dott. Giovanni Femiani, dell’IDR Institute (Intercultural Development Research) sintetizza così il risultato della ricerca (survey e interviste in profondità) svolta insieme alla prof. Ida Castiglioni (Università Milano Bicocca) e presentata nella Sala Cuccia della Città Metropolitana di Milano il 13 settembre.
“Ci sono soggetti che si sono attivati – sottolinea Femiani, intervistato da Rumore Sociale – ma di risparmio energetico, riciclo e riuso ne parliamo da tanto tempo: ora serve un’applicazione pratica”. Su un punto serve estrema chiarezza: “E’ necessario che la programmazione delle politiche avvenga non su un piano emergenziale, ma su quello della normalità. Proprio perché il cambiamento climatico è ormai la “normalità”. Risulta naturalmente utile uno sforzo di pensiero. Faccio un esempio banale per rendere l’idea: è stato studiato un ‘piano caldo’ per gli anziani per i mesi di luglio e agosto, ma come si è visto le temperature hanno raggiunto picchi già a maggio-giugno e hanno continuato a raggiungerle a settembre”.
ALCUNI SPUNTI DELLA RICERCA
Con Femiani ci siamo soffermati su alcuni spunti offerti dalla ricerca, che è stata effettuata ponendo domande a 50 persone occupate in Enti del Terzo settore (52%), nel pubblico (38%), nelle imprese (8%) e in aziende speciali (2%).
Emerge in linea generale un ‘ritardo’. Quanto incide il cambiamento climatico sulla programmazione delle politiche sociali e sanitarie del territorio. Il 20,4% degli intervistati ha risposto “moltissimo”, il 22,4% “molto”, il 18,4% “sufficiente” e ben il 28,6% “poco”. L’ultima percentuale va sommata a quella della risposta “per niente”, ovvero il 10.2%.
Ancora più ‘sorprendente’ è l’incidenza sui settori specifici: il dato più passo (22.4%) si riferisce all’influenza esercitata sulle politiche per i giovani, che invece dovrebbero rappresentare il futuro. In linea teorica sono infatti i più interessati dai mutamenti già in atto.
Porta poi a riflettere il riscontro su un quesito fondamentale: “Nel lavoro che fai, nella tua organizzazione c’è attenzione ai temi del cambiamento climatico e della sostenibilità ambientale?”. Alcuni hanno onestamente detto “no” e “boh”. Su tale “boh” sarebbe importante “lavorare e stabilire un contatto e provare ad approfondire invertendo il processo, ossia ragionando sull’influenza dei cambiamenti climatici nel lavoro. Sono due facce della stessa medaglia” evidenzia il dott. Femiani.
Anche quando c’è attenzione ai temi fin qui discussi, questa si ‘limita’ al riciclo, alla raccolta differenziata e allo smart working. Manca un ulteriore passo in avanti dal punto di vista delle azioni concrete. D’altra parte, ed è emerso in tutta la sua evidenza, l’esigenza di un passo in avanti non trova corrispondenza nei piani di zona, nei quali l’argomento non è nemmeno sul tavolo della discussione.
I PROSSIMI PASSI
Il 26 settembre – annuncia Femiani – ci confronteremo con le Istituzioni. Vogliamo creare gruppi di lavoro per stabilire delle linee guida che diventino centrali nei programmi delle politiche del territorio. Questo è il nostro grande sogno”.
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